
Dimmelo con un emoji:
Quando le parole non bastano, bisogna metterci la faccia! 😉
Avete già sperimentato, durante uno scambio di messaggi, l’imbarazzo di una risposta squisitamente riassunta in un semplice “ok”? 😐 Probabilmente sì, dal momento che non tutti riescono ad essere espressivi quando si tratta di conversazioni virtuali. La tecnologia ci ha permesso di rimanere in contatto anche a distanza, di raggiungere amici, famiglia e amori dall’altra parte del mondo; ma quando le parole non sono accompagnate dall’intonazione della voce, spesso è difficile comprendere l’intenzione che c’è dietro.
Per fortuna, però, esistono gli emoji! Queste piccole icone, associate al testo, permettono di cogliere immediatamente i sentimenti dell’interlocutore, evitando qualsiasi rischio di malinteso...o quasi! Ne esistono, ad oggi, più di 2800, utilizzati per lo più su Messenger e Twitter da utenti di età compresa tra i 18 e i 55 anni — ebbene sì, anche i nostri genitori cominciano a capire come funziona! 😱
La loro crescente popolarità ha portato all’istituzione di una Giornata Mondiale dell’emoji, celebrata il 17 luglio, perché è la data raffigurata nell’icona calendario di Apple. Per onorare la ricorrenza, abbiamo fatto un po’ di ricerche 🕵️ e deciso di condividere con voi 5 curiosità sugli emoji di cui potreste non essere a conoscenza.

1. Emoji ed emoticon non sono la stessa cosa. ☝🏽
La confusione è dovuta al fatto che la funzione è più o meno la stessa, cioè quella di facilitare e umanizzare la conversazione digitale attraverso le immagini; ma la loro natura è ben diversa. L’emoticon — unione delle due parole inglesi emotion e icon — è nata nel 1982, quando il professore di informatica Scott Fahlman ha proposto di utilizzare :-) e :-( per distinguere tra contenuti seri e giocosi, all’interno di un forum di discussioni in cui, a quanto pare, i malintesi erano all’ordine del giorno. Queste faccine sono combinazioni limitate di punteggiatura e parentesi, che formano dei volti tristi, sorridenti, perplessi, arrabbiati e poco altro.
Gli emoji, invece, sono codificati: a ciascuno di loro corrisponde un numero nel codice che solo un software può leggere e riprodurre. Questo fa sì che ci sia molta più varietà e che, a seconda del software utilizzato, le icone possano essere personalizzate. Creati alla fine degli anni ‘90 dalla società di comunicazione giapponese NTT DoCoMo, gli emoji sono stati integrati nell’iOS di Apple nel 2008, e da allora ogni sistema operativo fa regolarmente il proprio aggiornamento — e le proprie scelte in materia di rappresentazione (ne parleremo in seguito). L’emoji è quindi un pittogramma, cioè un’immagine che riproduce il significato di una parola e non la sua forma linguistica. Il termine giapponese, in effetti, è composto da tre parti: e=immagine, mo=scrittura, ji=carattere.
2. Lingua, linguaggio o altro? 🤔
La differenza non è scontata per tutti. Per dirlo in parole povere, il linguaggio è una competenza innata e universale, comune a tutti gli esseri umani, cioè la capacità di comunicare; la lingua, invece, è uno degli strumenti attraverso cui questa comunicazione può avere luogo, e varia a seconda della geografia, delle epoche storiche, dei costumi. Inoltre, ogni lingua è un sistema di regole che tutti i parlanti devono conoscere e rispettare perché la comunicazione sia efficace; di conseguenza, non è possibile definire gli emoji una lingua.
Quanto invece al linguaggio, c’è chi ha provato a paragonare le icone ai geroglifici: certo, anche questi raffiguravano delle immagini, ma, contrariamente agli emoji, potevano avere un valore fonetico (cioè raffigurare il suono della parola), oppure rappresentare un concetto astratto o una convenzione (ideogramma). Quindi, se gli emoji non sono né una lingua, né un linguaggio, come possiamo definirli? Bisogna piuttosto parlare di funzione paralinguistica: come l’intonazione della voce, i gesti e le espressioni facciali, queste icone supportano il linguaggio, enfatizzando il contenuto del messaggio.


3. Emoji, parole e libri. 📚
La portata rivoluzionaria degli emoji ha attirato persino l’attenzione del Dizionario di Oxford, che nel 2015 ha scelto la faccina che ride con le lacrime agli occhi 😂 come “parola dell’anno”, perché rifletteva — apparentemente meglio delle oltre 170.000 parole di uso corrente nella lingua inglese — i sentimenti e le preoccupazioni dei cittadini in quel periodo. A distanza di 6 anni, questo emoji si conferma uno dei più utilizzati su scala mondiale e il primo in assoluto su Twitter. Come facciamo a saperlo? Perché il social dispone di un emojitracker, capace di comunicare le visualizzazioni in tempo reale di ogni icona.
Ma non è tutto. Le faccine sono raccolte e classificate in una vera e propria enciclopedia, l’emojipedia, che non solo fa una stima dei principali trend, ma informa anche, in un’apposita sezione di notizie, su quali siano le new entry e le nuove politiche in fatto di inclusività. Per trovare l’emoji perfetto per i propri contenuti digitali, basta cercare la parola chiave (inglese) che l’icona si prefigge di tradurre in immagine. Sul podio degli emoji più ricercati del 2020, troviamo il cuore bianco 🤍, seguito dalla faccina che sbadiglia 🥱 e dal cuore marrone 🤎, ma ovviamente, data la particolarità delle circostanze, non sono mancati gli emoji della casa 🏠, simbolo del lockdown, del coronavirus 🦠 e della mascherina 😷.
Insomma, le immagini hanno una potenza evocativa che talvolta nessuna parola riesce ad eguagliare. Ecco perché i linguisti hanno pensato di condurre un esperimento molto originale e coraggioso: tradurre un romanzo in emoji. Sono nati, così, Emoji Dick e Pinocchio in Emojitaliano, le versioni 2.0 dei capolavori di Melville e Collodi. No, non è uno scherzo, ma un modo efficace per mettere in luce la principale falla di questa particolare forma di scrittura: la mancanza di universalità.
4. In che senso❓
Come dicevamo, contrariamente a quanto si pensi, l’interpretazione degli emoji non è sempre un’impresa facile. Le variabili in gioco sono tante: si va dal verso della scrittura — sinistrorso, come nella lingua giapponese — che ovviamente determina lo sviluppo della narrazione, all’uso della simbologia — ad esempio, nel mondo anglosassone, la preposizione per può essere facilmente sostituita dal numero 4, ma non altrove! —, alla costruzione sintattica della frase — soggetto, verbo, complemento oggetto, oppure verbo, complemento oggetto, soggetto, ecc… Insomma, ciascuno di noi non può che sfruttare il suo background linguistico-culturale per cercare di dar senso a una frase interamente scritta in emoji.
A volte, l’icona risulta ambigua semplicemente perché l’immagine è polisemica, cioè può essere associata a più significati diversi. Facciamo un esempio concreto: cosa significa, secondo voi, la faccina a testa in giù 🙃? Probabilmente ve lo siete sempre chiesti, e non siete gli unici. A seconda del contesto, questo emoji è utilizzato per comunicare imbarazzo, sarcasmo, spensieratezza… Insomma, sensazioni molto diverse tra di loro! Eppure, a quanto pare, inizialmente voleva essere un rimando alla capriola e alla gioiosa euforia che si prova quando si è bambini! 😅 A dimostrazione del fatto che, in fin dei conti, non esiste una vera e propria regola di codifica, e che ciascuno può farne (per ora) l’uso che vuole, correndo però il rischio di essere frainteso.


5. L’educazione emojimentale 🧠💛
Abbiamo capito che le icone sono tante e che possono avere molteplici significati. Ma diversità è anche sinonimo di inclusività: gli emoji non sono solo un mezzo di scrittura, ma anche uno strumento per veicolare messaggi sociali e sensibilizzare gli utenti sui temi più “caldi” dell’attualità. Il 2021 ha visto e vedrà nascere nuove forme di rappresentazione della multiculturalità e dell’identità, dalla bandiera transgender 🏳️⚧️, alla ragazza con lo hijab 🧕🏻, all’emoji rifugiato, passando per il pugno teso del movimento Black LIves Matter ✊🏾, a cui si sommano le varie sfumature di tonalità della pelle già introdotte in precedenza.
Il bello è che possiamo contribuire tutti a questa iniziativa, lanciando nuove proposte su Emojination, l’associazione il cui motto recita proprio “Emoji By The People, For The People”. L’obiettivo è semplice: partecipare al progresso, partendo dalle cose più semplici e alla portata di tutti. Stesso discorso per gli emoji che, in qualche modo, possono incitare all’odio e alla violenza: i software possono scegliere di rimuoverli, come ha fatto Apple, quando ha sostituito la pistola arma da fuoco con la pistola ad acqua.
Educazione sociale, ma anche “sentimentale”. In molti si preoccupano dell’impatto degli emoji sulle relazioni sociali, soprattutto tra gli adolescenti; il timore è che questa stigmatizzazione delle emozioni, inevitabilmente semplificate, possa renderli impreparati ad affrontare quelle decisamente più complesse della vita reale. In realtà, non bisogna dimenticare che queste icone nascono con l’intento preciso di rendere la conversazione digitale più umana e verosimile; quindi, al netto delle differenze tra comunicazione virtuale e reale, dovrebbero, al contrario, favorire lo sviluppo dell’intelligenza emotiva e dell’empatia, permettendo agli interlocutori di immedesimarsi più facilmente nello stato d’animo altrui. Insomma, non c’è da averne paura: gli emoji spesso arrivano dove la parola non osa avventurarsi! 💪🏻
Insomma, non c’è da averne paura: gli emoji spesso arrivano dove la parola non osa avventurarsi! 💪🏻